Confederazione incassa primo risultato: maggiore trasparenza dei prezzi e immediata convocazione tavolo di filiera. Delegazione guidata da Fini presenta dossier a Ministero: grano giù del 40% e pasta su del 30%
Roma, 20 lug – Più di 51 mila firme, raccolte con la petizione su change.org, e un dossier di richieste e proposte per salvare il grano e la pasta Made in Italy, sono sul tavolo del ministro dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida. È questa l’ultima azione messa a segno, oggi a Roma, da Cia-Agricoltori Italiani, nella battaglia nazionale per fermare il pericoloso attacco al settore cerealicolo.
“Il grano duro potrà avere la sua CUN, Commissione Unica Nazionale, per vigilare su una maggiore trasparenza dei prezzi -ha annunciato il presidente nazionale di Cia, Cristiano Fini, uscendo dal Masaf e aggiungendo che c’è l’impegno del ministero a mediare con l’industria e a mettere in campo tutte le forze per farla decollare al più presto. Intanto -ha proseguito- il ministro ha garantito che convocherà entro l’estate il tavolo di filiera. Dunque, la nostra mobilitazione sta funzionando e siamo soddisfatti per questo primo risultato ottenuto per riportare il settore nelle garanzie fondamentali per continuare a operare, tutelando produttori e consumatori, salvaguardando il vero grano e la vera pasta 100% Made in Italy”.
Con Fini al Dicastero di Via XX Settembre anche una nutrita delegazione Cia che ha dato voce alla mobilitazione, partita online con la raccolta firme e proseguita con incontri e manifestazioni sul territorio, in particolare in Puglia dove si è raccolta l’adesione di istituzioni e politica, interi comuni e migliaia di consumatori. “Avanti così, non ci fermeremo -ha dichiarato il presidente di Cia Puglia, Gennaro Sicolo, al termine dell’incontro-. Stiamo portando avanti una battaglia di civiltà, per costruire un futuro per i nostri territori la cui economia deve tutto alle produzioni agricole autoctone. È arrivato il momento di dare concretezza a quella ‘sovranità alimentare’ che al momento appare solo come scritta sulla targa del ministero”.
LE RICHIESTE – Per Cia è, dunque, urgente stoppare le speculazioni commerciali sulla pelle dei produttori e dei consumatori, fermare chi spaccia grano estero piazzandolo come italiano e porre dei limiti all’arrivo indiscriminato sul territorio italiano di grani stranieri. Queste, alcune delle istanze al centro dell’incontro e contenute nel dossier che ha animato la petizione.
C’è un fermo “no” di Cia a chi non vuole riconoscere i costi minimi di produzione ai cerealicoltori e alle frodi che rovinano l’immagine di un prodotto simbolo dell’Italia, e un chiaro “si”, e subito, a maggiori controlli sull’etichettatura, al potenziamento dei contratti di filiera tra agricoltori e industria e al Registro Telematico dei Cereali con avvio immediato. Inoltre, va prorogata a livello comunitario la sospensione dei dazi all’importazione su ammoniaca e urea. Fondamentale, poi, incentivare la ricerca pubblica e privata per garantire migliori rese e qualità, così come per favorire percorsi di aggregazione produttiva e organizzativa, inclusa l’ipotesi di una interprofessione dei cereali, con una specificità per il grano duro.
I DATI – Nell’ultimo anno, il prezzo del grano duro è crollato da 560 a 330 euro a tonnellata e sono forti i rischi che il prezzo possa scendere ancora. Da mesi il prezzo è sceso in media del 40%, mentre quello della pasta sullo scaffale del supermercato è aumentato del 30%. Quanto ai costi di produzione, nell’ultimo anno hanno visto aumenti superiori al 40% passando da circa 800 euro per ettaro a 1.400 euro. Con gli attuali prezzi di vendita gli agricoltori lavorano in perdita e si rischia sempre più l’abbandono della produzione Made in Italy, mentre aumentano le importazioni dall’estero. In Italia, infatti, arrivano più di 2 milioni di tonnellate di grano duro all’anno per un fabbisogno dell’industria di 5,8 milioni di tonnellate complessive. L’ultimo rapporto Anacer registra un aumento del 6,3% delle importazioni totali dei cereali di granella, dovuto in gran parte alla crescita dell’import di grano duro, con +396 mila tonnellate nei primi 4 mesi del 2023.
Il grano, sottolinea, infine, Cia, è l’emblema di quello che sta accadendo a tutti i prodotti d’eccellenza dell’agricoltura italiana, con un abnorme ricorso alle importazioni che annichiliscono il lavoro straordinario dei nostri agricoltori, vessati da carichi fiscali, burocratici e da costi di produzione che mortificano i loro sacrifici. Senza contare gli effetti dei cambiamenti climatici e la mancata equa redistribuzione del valore lungo la filiera, che è sempre a danno del settore agricolo.
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